Comunicare senza giudicare

12.01.2024

Le parole nella comunicazione nelle relazioni affettive ed amicali, tra genitori e figli e figlie e, nell'ambiente lavorativo, possono svolgere un ruolo positivo nel sentirci a nostro agio, oppure ostacolarci

Uno dei temi che emergono durante gli incontri di counseling è la difficoltà di esimersi dall'esprimere giudizi, valutazioni quando si parla e, il timore di ricevere una risposta brusca e di chiusura della comunicazione, dal nostro interlocutore.

Mi riferisco non soltanto a giudizi critici o negativi verso la persona che ci sta difronte, ma anche a quelli positivi.

Vi è una costante lotta tra voler essere "sinceri" e il rischio di provocare un atteggiamento di chiusura nei confronti di ciò che diciamo.

"Le parole sono finestre, oppure muri" (M.B.Rosemberg)

Si può trovare la modalità che ci permetta di sentirci "autentici" ed allo stesso tempo "empatici" o almeno "non giudicanti" nei confronti di chi ci sta davanti.

Ci sono quattro passaggi della comunicazione non violenta:

  1. Descrivere in modo chiaro e fenomenologico o oggettivo il fatto causale
  2. Stare in ascolto dell'emozione che proviamo e valutarne l'intensità, consapevoli che siamo noi a sentire quello che sentiamo
  3. Esprimere il bisogno in modo da utilizzare sempre la prima persona singolare
  4. Chiedere in modo chiaro cosa può fare l'altra persona per soddisfare il nostro bisogno.

Un'altra modalità più semplice ed utilissima nella vita quotidiana è il "Feedback fenomenologico". Un esempio: La tua ironia mi fa star male"; Quando parli di lavoro mi fai sentire esclusa!

Potremmo rispondere:

Vederti sorridere e alzare lo sguardo in alto in risposta alla mia domanda mi ha fatto sentire a disagio e svalutata.

Quando parli di lavoro a tavola con amici io mi sono sentita esclusa.